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QUANDO LA CONFLITTUALITA’ POST-SEPARATIVA ORIGINA ALIENAZIONE GENITORIALE

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Dott.ssa Cristina Piazza, Dott.ssa Beatrice Chittolini

Il rifiuto di incontrare un genitore da parte di un figlio è un fenomeno che si ritrova spesso in situazioni di conflittualità post-separativa. Tale fenomeno è stato definito da Gardner nel 1984 come Sindrome di Alienazione Parentale o PAS (Parental  Alienation Syndrome) e a  tutt’oggi rimane oggetto di studio, dibattito e ricerca: la sindrome non è infatti riconosciuta come un disturbo psicopatologico dalla  maggioranza della comunità scientifica e giuridica. Studi recenti  e accreditati che hanno posto l’accento sulla complessità dei legami familiari hanno evidenziato come questa controversa dinamica psicologica disfunzionale sia da attribuire non più ad una patologia del minore da “curare” ma ad un disturbo della relazione (della triade madre- padre- figlio).

In un sistema familiare in cui il conflitto tra gli ex-coniugi o ex-conviventi impedisce la comunicazione e la condivisione della responsabilità genitoriale (co-genitorialità) lo scenario relazionale che conduce un bambino alla alienazione di un genitore rappresenta una forma di adattamento del bambino al conflitto, una sorta di ricomposizione del dolore ad esso connesso che non fa che alimentare altro conflitto. In questa situazione il processo di reciproca demonizzazione della coppia coniugale impedisce agli ex di accedere al divorzio psichico, tappa  fondamentale per sancire la fine del  legame ed aprire  a nuovi scenari positivi ed evolutivi.

Quali modalità relazionali mettono in atto i vari protagonisti del gioco familiare disfunzionale che conduce alla  alienazione genitoriale la quale, ribadiamo, deve essere considerata come la risposta adattiva al venir meno di una narrazione familiare condivisa ?

Lo scenario relazionale che si viene a determinare è la formazione di una diade fusionale figlio- genitore, spesso quello collocatario, che si struttura e si rafforza, restituendo potere al bambino/ragazzo per andare in opposizione al terzo (l’altro genitore , non  collocatario).

Il minore si pone nel  ruolo  di “vittima” che si chiude in sè, con modalità regressive, nella relazione diadica (spesso fusionale) con il genitore considerato “salvatore” il quale – a sua volta – si percepisce “vittima” del genitore alienato. Spesso rabbia e senso di vuoto sono le reazioni emotive predominanti che conducono il bambino o il ragazzo ad intraprendere una battaglia che da una parte gli conferisce un “grande potere” ma dall’ altra genera senso di colpa, vergogna e paura. Sentimenti che necessitano di essere placati fondendosi e confondendosi sempre di più con il genitore presunto alienante. E’ necessario sottolineare che questa dinamica  che vede i genitori rispettivamente presunti alienato ed alienante in una modalità contrappositiva, esito di processi psicologici non risolti nel percorso separativo,  conduce a minare la personalità del figlio il quale arriva ad essere inevitabilmente  scisso e misconosciuto nei suoi bisogni evolutivi di base.

Il genitore rifiutato, in molti casi, assume un atteggiamento complementare a quello del figlio: il suo comportamento a volte è reverenziale, quasi di prostrazione come quello di un suddito nei confronti di un principe o di una principessa, tale da alimentare il senso di potere del figlio. Altre volte il comportamento è rabbioso e genera nel  figlio il bisogno di sostegno e protezione e l’idea di doversi rifugiare nella “relazione speciale” con l’ altro genitore.

Il genitore presunto alienante, spesso la madre, è sovente ingaggiato in un rapporto di “salvataggio” del figlio in opposizione al padre: tale dinamica  è espressa a volte  in modo diretto, a volte in modo implicito veicolando con il silenzio un consenso al comportamento di rifiuto del bambino o del ragazzo verso il padre. Il genitore “alienante” può anche trovarsi nella scomoda situazione di spingere il figlio ad incontrare il padre, trasformandosi in “carnefice”, minando inevitabilmente anche  la sua relazione con il figlio. Rabbia, opposizione e disagio del figlio in queste situazioni sono indicatori di difficoltà a volte non riconosciuti nella loro importanza.

La lettura della complessità delle dinamiche relazionali che si attivano nel sistema familiare nelle situazioni di alienazione genitoriale  consente di uscire dalla logica lineare che individua una sola causa (solitamente  l’ex partner collocatario che ostacola la relazione tra il figlio e l’altro genitore)  per definire l’origine di tale fenomeno:  genitori e figli si influenzano reciprocamente  e rimangono imbrigliati, a volte anche per anni, in schemi relazionali rigidi e ripetitivi quanto dolorosi.  Inoltre, al fenomeno più frequente per il quale i padri rifiutati demonizzano  le madri presunte alienanti, seguono non di rado azioni legali delle madri relative a   false denunce ai padri  di maltrattamento o  di abuso sui figli.

Quali interventi ?

Le situazioni di esasperata conflittualità post-separativa che conducono al rifiuto di un genitore possono essere evitate lavorando in modo intensivo sui processi psichici già in fase di preparazione ed accompagnamento alla separazione giuridica. Il lavoro di elaborazione del dolore degli ex per la fine del legame attiva l’autoriflessività ed aiuta ad accedere al divorzio psichico.

Considerare l’alienazione genitoriale come una “patologia da curare” del bambino/ragazzo (pensato contenitore vuoto, passivo e condizionabile) deresponsabilizza gli ex lasciandoli impegnati solo nella loro “battaglia”.

Viceversa, affrontare la problematica dell’alienazione genitoriale come una forma di disagio nelle dinamiche relazionali dell’intero sistema familiare  restituisce responsabilità ai genitori  e permette di riflettere sugli interventi/ provvedimenti  focalizzati sul minore che, i contesti pubblici o privati che lavorano con le famiglie,  spesso attivano nel  tentativo di intervenire sulla conflittualità; tentativo che, in conseguenza di quanto abbiamo detto,  è destinato a rivelarsi  non di rado  fallimentare.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

CRISMA, M., ROMITO, P. (2007) L’occultamento delle violenze sui minori: il caso della Sindrome da Alienazione Parentale. Rivista di Sessuologia, 31(4):263-270.

SACCHELLI D., MARINELLO R. (2018) Separazioni conflittuali. Conflitto, demonizzazione e paradossi nella coppia in fase di separazione. Ed. EDRA

STERN D., 1987 “Il mondo interpersonale del bambino”. ED. BOLLATI BORINGHIERI

SEPARARSI SENZA PUNIRE: LA CURA DEI LEGAMI OLTRE IL DIVORZIO

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Dott.ssa Teresa Serra

La cliente dice all’avv. Malinconico che non permetterà a suo marito di liquidarla per una cifra ridicola che vorrebbe  versarle in una sola volta. Il legale le spiega che è un modo di tagliare ogni rapporto con lei; un bonifico al mese sarebbe come mantenere un legame con il coniuge separato: “pagare in un’unica soluzione diventa il modo di accedere ad una sorta di condono tombale sul matrimonio”.

De Silva in modo divertente nomina qualcosa che capita di frequente nei divorzi: l’illusione di poter cancellare il rapporto precedente automaticamente una volta che si è andati dall’avvocato. Il legame invece è eterno, lo si può solo trasformare e non è possibile scindere il rapporto con il passato e, quindi, con il presente e il futuro. Il dolore della perdita rappresenta un vero e proprio trauma: sulla scala degli eventi di vita stressanti di Holmes e Rahe  al secondo posto per gravità c’è il divorzio. Il trauma del divorzio colpisce tre generazioni: i nonni, comunque vedano la separazione, gli ex coniugi la cui unione finisce, i figli per la fine dell’unità familiare. Un trauma, se non elaborato, getta un’ombra sul presente creando un senso d’impotenza, tristezza e minore apertura alle relazioni. Danneggia anche il futuro minando la fiducia per progettarlo.

Il divorzio è un passaggio in cui i rapporti cambiano e il dolore per la perdita si può ripresentare per un lungo periodo a causa di eventi quali un nuovo compagno dell’ex coniuge o una nuova nascita. Per poter prendersi cura del legame dopo il divorzio gli ex partner dovranno poter stabilire almeno un’alleanza  di lavoro davanti ad uno psicologo. Non sempre questo è possibile: le coppie che non riescono a separarsi davvero ingaggiano furiose battaglie in Tribunale per la custodia dei figli e per la spartizione di beni/incombenze economici. La rabbia verso l’ex impedisce di sentire il dolore per la perdita. Lo scopo ultimo è di vincere sull’altro, il quale sarà punito in quanto “portatore di ogni male”. In questa guerra i figli passano in secondo piano e i due contendenti non riescono a mettersi d’accordo per essere genitori adeguati.

Occorre invece uno spazio dentro di sé per considerare l’ex partner simile eppure “altro da sé”, nei suoi pensieri, desideri, relazioni, che non coincidono con i propri. Questo permette di gestire il dolore e anche di rivolgersi ai figli con lo stesso rispetto nel riconoscerli simili a sé e differenti. Lo psicologo può aiutare la coppia di divorziati nel fare un bilancio del loro rapporto non solo nella crisi ma anche per quel che di buono c’è stato prima per potere permette a sé e all’altro di andare oltre il male e al dolore subito e inflitto e attivare le modalità riparative che consentano di affrontare costruttivamente il presente e il futuro. I benefici di affrontare il trauma del divorzio si estendono alle famiglie d’origine e proteggono i figli permettendo loro una crescita in termini relazionali e di benessere personale.

  1. De Silva, D., Divorziare con stile, Torino 2017
  2. Cigoli, V., Clinica del divorzio e della famiglia ricostruita, Bologna, 2017

DA DUE A TRE. Da coppia a coppia di genitori

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Dott.ssa Manuela Alfieri

Cosa succede alla coppia che sta vivendo l’esperienza di diventare genitori?
Dà vita ad un bimbo e contemporaneamente dà vita anche ad una nuova parte di sé e della propria identità, come individui e come coppia. E in realtà dà vita anche ad una nuova famiglia in senso esteso perché una nascita comporta nuovi ruoli per tutti.

Avere un figlio è sicuramente la realizzazione di una delle massime aspirazioni di una coppia, è un atto creativo senza pari nell’esistenza umana e, nello stesso tempo, è un’esperienza che va oltre la coppia stessa e prende la forma di un essere che è altro dalla coppia, unico e irripetibile.

Da due a tre: si tratta di un passaggio tutt’altro che semplice. Il modo in cui si diventa genitori oggi è molto diverso rispetto al passato: avere un figlio è diventato un evento sempre più scelto, raro e compiuto in età avanzata. Tali caratteristiche rendono questo passaggio un concentrato di emozioni intense, grandi aspettative e notevoli investimenti su di sé e sul figlio che si aspetta. Diventare genitori costituisce una delle transizioni, cioè delle fasi di passaggio, più importanti all’interno della nostra società.

Come tutte le transizioni è caratterizzata da una serie di elementi significativi:

  • comportalamodifica degli equilibri pre-esistenti e in questo senso genera una crisi familiare, poiché tutti (non solo i neo-genitori) sono chiamati inevitabilmente a ricoprire nuovi ruoli, vivere posizioni diverse e attraversare un cambiamento delle relazioni familiari
  • metteinluce e contemporaneamente mette alla prova i legami: in ogni passaggio significativo, infatti, si fanno evidenti le risorse/criticità delle relazioni

La coppia dovrà compiere un percorso nella costruzione di un patto genitoriale in grado di garantire protezione e accudimento al bambino ma anche una spinta all’autonomia ed alla crescita (il tema dello svincolo rispetto alle proprie famiglie d’origine).

Come si costruisce il patto genitoriale? Attraverso un lungo viaggio che comincia anche molto tempo prima della nascita vera e propria del figlio che vede la coppia impegnata a creare uno spazio di pensiero per il bambino e per l’identità genitoriale cui intende dar vita.
Ecco che il passaggio da due a tre non è davvero solo la somma di uno: coinvolge tutta la famiglia, dà vita a grandi cambiamenti identitari e relazionali, implica l’impiego di grandi risorse emotive, materiali e di tempo e, naturalmente, attiva la costruzione e la condivisione di nuovi significati.

Concludendo:  tale transizione racchiude in sé aspetti di consapevolezza, responsabilità e speranza.

“Non hai avuto modo di scegliere i genitori che ti sei trovato ma hai modo di scegliere quale genitore potrai essere”.    (M.W.Edelman)

LA CONSULENZA TECNICA D’UFFICIO: OPPORTUNITA’ O RISCHIO?

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Dott.ssa Barbara Griffini

Spesso le persone che si separano seguendo la via giudiziale a causa dell’estrema conflittualità arrivano in consulenza tecnica d’ufficio senza sapere con chiarezza di cosa si tratta.

La consulenza tecnica d’ufficio è un incarico che viene dato dal Giudice ad un esperto del settore (psicologia, genitorialità  e dinamiche familiari) affinchè esprima il suo parere: può essere richiesta dal Giudice stesso oppure da una delle parti quando alcuni elementi che riguardano i minori gettano dubbi sul loro benessere. Ciò che viene richiesto all’esperto è una valutazione della situazione ed un parere rispetto agli eventuali fattori di rischio che potrebbero influire su un sano ed equilibrato sviluppo dei minori. Le indicazioni diverranno attuative con il decreto del Giudice.

Qual è, dunque, il vantaggio di una consulenza tecnica d’ufficio?

La valutazione della situazione da parte di un esperto può portare i periziandi ed i legali ad osservare da altri punti di vista e ad accorgersi delle reali dinamiche che sottostanno alla continua “lotta giudiziaria” di certo in atto.

La possibilità poi di essere richiamati al proprio ruolo genitoriale da parte del consulente risulta utile in una fase in cui i genitori sono solitamente eccessivamente coinvolti nel conflitto e nelle proprie sofferenze per prestare le necessarie attenzioni ai figli. Di solito le recriminazioni reciproche su sofferenze o disagi dei bambini, su loro necessità o desideri inascoltati dalla controparte, lamentele in merito alle mancanze genitoriali dell’altro sono in realtà strumentalizzazioni attraverso le quali si vuole colpire l’ex partner. Nella CTU il focus viene spesso riportato al funzionamento genitoriale, elemento utile a ripristinare almeno in parte una efficacia nel ruolo che i genitori devono recuperare quanto prima.

Dalle operazioni peritali può anche derivare un nuovo assetto della famiglia separata il quale in un primo momento è imposto (disposizioni del Giudice) e che poi però può essere interiorizzato ed accettato riconoscendone la bontà.

In ultimo la consulenza può riuscire a mostrare ai genitori in separazione i figli in una veste nuova mettendo in luce le effettive sofferenze che stanno vivendo e le reali necessità che possono invece passare in secondo piano in situazioni conflittuali, come già dicevamo.

Uno dei maggiori svantaggi del percorso giudiziale nella separazione e, quindi, di una probabilissima CTU sono i tempi ed i costi. La necessità di avvalersi delle prestazioni di un avvocato porta a gravi esborsi economici che possono durare anche anni, la consulenza tecnica d’ufficio poi è del tutto a carico delle parti e, spesso, anche chi è in gratuito patrocinio deve provvedere a corrispondere una parte della spesa della valutazione anche fino al 50%. I tempi della CTU poi non sono di certo brevi: il consulente può chiedere anche 120 giorni per il deposito della relazione e nulla gli impedisce di chiedere proroghe al fine di meglio rispondere al quesito del Giudice.

Gli ex partner, inoltre, si trovano inseriti in un percorso valutativo piuttosto stressante che va ad indagare aspetti specifici dei soggetti coinvolti e delle dinamiche familiari. Gli incontri hanno uno scopo valutativo e creano quindi inevitabilmente apprensione nei periziandi che tentano di presentarsi al meglio. Anche il coinvolgimento dei minori preoccupa spesso i genitori che possono temere che i bambini risentano della situazione. I colloqui congiunti, poi, obbligano gli ex partner a rivedersi e a confrontarsi su tematiche vecchie e nuove all’interno di una dinamica conflittuale e disfunzionale: la riattivazione di vissuti dolorosi e modalità relazionali conflittuali attraverso i colloqui può portare ad ulteriore inasprimento dei litigi ed aumento della tensione già alle stelle.

Spesso al CTU è richiesto di disporre un nuovo calendario di frequentazione: spesso capita che questo però non soddisfi le esigenze di tutti. Di solito il clima conflittuale porta gli ex coniugi ad avanzare richieste impossibili nel tentativo di salvaguardare la propria posizione. Questo può portare l’esperto nominato dal Giudice a dare indicazioni “di prassi” rifacendosi alla letteratura e alla norma “costringendo” i separandi ad adeguarsi a protocolli prestabiliti che, a volte, hanno poco a che fare con le reali esigenze di quella famiglia separata. Un altro rischio, quindi, risiede nel dover accettare disposizioni che non sono frutto di accordi ma che vengono stabilite da altri i quali, per quanto esperti (CTU, Giudice, Servizio Sociale) non sono membri della famiglia e non possono osservare ed avere a cuore la situazione come se lo fossero.

Altro rischio intrinseco nella CTU è costituito dal ritrovarsi alla fine con una situazione del tutto opposta a quella che ci si aspettava entrando in consulenza: le aspettative iniziali vengono totalmente disattese. Spesso ogni periziando è convinto della totale esattezza del proprio punto di vista ma il consulente può arrivare a conclusioni differenti poiché ha altri parametri attraverso i quali valutare la situazione.

La consulenza, seppur indispensabile in alcune situazioni, rappresenta il fallimento nel processo comunicativo, collaborativo e mediativo della coppia genitoriale: ricorrendo alla via giudiziale i separandi giocano alla roulette russa mettendo nelle mani di altri, anche se esperti, il loro futuro e quello dei loro figli. La CTU è emblematica della de-responsabilizzazione genitoriale in cui sempre più coppie incorrono in modo più o meno consapevole: il Giudice, il Consulente, l’assistente sociale diventano i veri responsabili del benessere dei minori e questo il più grande svantaggio che ci possa essere per un genitore.

“Separazione, divorzio e affidamento dei figli”, Cigoli, Gulotta, Santi, Giuffrè Editore, 2007, Mi

“Le nuove frontiere dell’affido condiviso”, Camerini, Maggioli Editore, 2018, RN

STO MALE PERCHE’… I FIGLI DI FRONTE ALLA SEPARAZIONE

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Dott.a Teresa Serra

“Non molto tempo fa, Chrissie ha detto del marito che ho adesso: – Gli voglio bene, eh, mamma, però spero ancora che muoia nel sonno e che muoia anche la mia seconda madre, e che tu e papà torniate insieme”. Lucy, la mamma, pensa di capire le sue figlie: lei “conosce anche troppo bene il dolore che i figli si stringono al petto, sa che dura per sempre, e procura nostalgie così immani da privarli del pianto”.

La separazione e il divorzio rappresentano per i genitori e per i figli degli eventi traumatici. Può succedere che i figli, addolorati e confusi, manifestino il loro disagio attraverso malesseri fisici e psicologici o cambiamenti nel comportamento. In effetti essi subiscono il divorzio dei genitori e, come succede appunto negli eventi traumatici, possono sentirsene sopraffatti, spaventati e con un senso d’impotenza e perdita di controllo.

Spesso i bambini se ne attribuiscono la colpa: sentirsi colpevoli è un modo per non sentirsi impotenti. Il figlio perde la sua famiglia, luogo sicuro che protegge dalle angosce, e la sua prima reazione può essere l’ansia. Per aiutarlo nella nuova situazione si dice che i genitori dovrebbero riuscire a tenere distinti l’essere coniugi la cui storia è finita dall’essere genitori che collaborano per il bene dei figli. Ma anch’essi sono scossi per la loro  perdita, anche se tentano di controllare gli aspetti visibili del conflitto fra loro. Le ricerche, infatti, dicono che il divorzio non mina la salute psicologica dei figli: è il conflitto fra gli ex partner a danneggiarli. I figli sono in presa diretta con le difficoltà e le fatiche dei genitori e possono rispondervi con manifestazioni di disagio che possono andare dall’ansia e tristezza, ai disturbi somatici e del sonno, alle fantasie di ricongiungimento dei genitori, al timore di essere abbandonati e all’irritabilità nei più piccoli; alla rabbia, alla vergogna, alla depressione e fobie varie fino a fughe, problemi scolastici e di comportamento nei più grandi. Succede quando i genitori stessi hanno difficoltà ad elaborare l’evento e a controllare il conflitto e la tensione con l’ex partner, elementi che possono occupare la mente al punto di renderli indisponibili ai bisogni emotivi dei figli. Alcuni incontri congiunti di genitori e figli con uno psicologo, con l’utilizzo anche di modalità espressive come il disegno,che facilitino l’espressione dei più piccoli, possono aiutare i figli ad esprimere i loro disagi e i genitori a comprenderli; può dare loro l’occasione a fare chiarezza nelle comunicazioni ai figli e di riorganizzare la famiglia, ma soprattutto dovrà servire a ricostituire l’alleanza fra gli ex partner che ne sostenga la funzione di genitori, spesso minata dopo la separazione da disaccordi e distanza fra loro, che è essenziale per il benessere dei figli.

Strout, E., Mi chiamo Lucy Barton, Torino 2016

Cigoli, V., Galimberti, C. e Mombelli, M., Il legame disperante. Il divorzio come dramma di genitori e figli, Milano 1988

LA SEPARAZIONE COSTRINGE A “FARE DUE CONTI”

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Dott.ssa Marta Sanfelici

Decidere di separarsi comporta una serie di problematiche che vanno necessariamente affrontate e che spesso mettono seriamente alla prova i coniugi, al punto da chiedersi se valga davvero la pena fare questo passo fino in fondo. Si tratta di una scelta difficile che richiede tempi di riflessione e maturazione anche lunghi e che costringe a rivedere una serie di questioni, sia di natura economico-organizzativa che affettivo-relazionale.

Capita che alcune coppie, prima di arrivare alla separazione effettiva, decidano di vivere da “separati in casa”, tentando di assumere un certo distacco ma mantenendo contemporaneamente una relazione rispettosa e non troppo conflittuale.  Fra le motivazioni viene spesso citato il fatto di voler risparmiare sofferenza ai figli, permettendo loro di crescere con entrambi i genitori presenti. Molto spesso però ci sono altre variabili che contano, come gli aspetti economici. Separarsi comporta spesso, oltre alle spese legali e amministrative, anche un aumento del costo della vita (spese di gestione di casa che diventano a carico di uno solo dei due coniugi, spese per il mantenimento, acquisto di materiale doppio utile ai figli per evitare continui “traslochi”, affitto da pagare per chi lascia la casa coniugale o spese per l’acquisto di una nuova casa, ecc).

I problemi di tipo economico possono quindi ostacolare la disunione effettiva dei due coniugi che scelgono di vivere da separati in casa, seppur forzatamente. Questa persistenza del legame, nonostante l’amore sia terminato, a lungo andare può comportare un inasprimento del rancore e delle ostilità.

Oltre all’aspetto economico-finanziario, ad impedire l’allontanamento dei due coniugi spesso c’è la paura della sofferenza che deriva dal compiere questo passo. Decidere di separarsi comporta di dover fare i conti con se stessi, con l’idea di “perdere” l’altro, di affrontare dei grossi cambiamenti sia dal punto di vista dell’assetto familiare che delle abitudini e routine quotidiane. L’idea di rimanere “soli” spaventa e provoca inevitabilmente un forte stress che può manifestarsi con stati d’ansia, depressione e, nei casi più estremi, può portare addirittura a crisi psicotiche che possono indurre a commettere atti violenti (come a volte i fatti di cronaca purtroppo raccontano), motivati dalla non capacità di accettare la separazione.

Ciò che favorisce una reazione equilibrata e il superamento della crisi che può accompagnare l’evento separativo è prendersi del tempo per se stessi: coltivare interessi e passioni, concentrarsi sul lavoro, dedicarsi attivamente al rapporto con i propri figli quando presenti e con le altre figure familiari, mantenere o costruire ex novo relazioni amicali, dedicarsi al proprio benessere fisico oltre che psicologico. È necessario guardarsi dentro, riscoprire i propri desideri, i propri bisogni, individuare ed affrontare le proprie insicurezze, inserirsi in una nuova dimensione che non preveda più l’altro o l’altra ma che spinga a rimettersi al primo posto. Non bisogna temere la solitudine ma vederla come un’occasione personale, per riscoprire lati di sé che permetteranno di stare meglio anche con gli altri. Fare i conti con il proprio io interiore, ascoltare le proprie emozioni e i propri pensieri, renderà più consapevoli e capaci di affrontare il futuro e la costruzione di nuovi progetti di vita, senza paura di restare soli.

  • Bowlby J. , Costruzione e rottura dei legami affettivi, Cortina Ed. 1982
  • Gulotta G. , Cigoli V. , Santi G., Separazione, divorzio e affidamento dei figli, Giuffrè Ed. 1997
  • Schedule of recente Experiences di Holmes-Rahe: “The Social Readjustement rating scale”. Journal of Psicosomatic Resaerch, (1967). Vol. 11, pag. 213-218.

SEPARAZIONE CONFLITTUALE ED INFANZIA RUBATA

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Dott.ssa Barbara Griffini

Durante la crescita i figli necessitano di cure e protezione ma, al tempo stesso, di stabilire relazioni solide con entrambi i genitori in modo da introiettare ed attivare in seguito i modelli materno e paterno, maschile e femminile, elementi costitutivi dell’identità. Perché ciò accada i minori devono essere inseriti in un contesto sereno e poter rapportarsi con genitori, parenti, coetanei.

Se gestita in modo conflittuale la separazione può avere gravi ripercussioni sullo sviluppo psico-affettivo e fisiologico dei minori perché altera il clima in cui i bambini crescono.

Può risultare difficile comprendere chiaramente le gravi conseguenze che un ambiente familiare ricco di tensioni, scontri e conflitti ha sulle strutture ancora in crescita di bambini e ragazzi. La separazione è sempre un momento difficile per i bambini: se poi i genitori sono impegnati a litigare tra loro, a volte anche per anni, ai figli non viene garantito un contesto di serenità, elemento indispensabile per una crescita equilibrata. Da numerosi studi possiamo sostenere che la separazione dei genitori non porta necessariamente effetti negativi duraturi sui figli, il conflitto genitoriale invece sì.

La separazione conflittuale depriva i figli di tempo relazionale quotidiano con entrambi i genitori sul quale si costruisce anche l’identità del minore: i bambini si ri-conoscono in ciò che fanno anche e soprattutto insieme ai genitori. Con la separazione conflittuale i bambini si trovano a non poter più fare nello stesso modo ciò che facevano prima e questo può quindi impattare con ciò che sanno, pensano e sentono di essere. La frattura che si crea nel percorso di crescita definisce nella mente del bambino un “prima” e un “dopo” che tolgono continuità al processo di maturazione.

Anche il senso di appartenenza viene intaccato: nella separazione, in particolare quella conflittuale, il bambino perde la famiglia a cui apparteneva e, spesso, gli viene chiesto, in modo più o meno diretto, di iniziare ad appartenere più ad un genitore che all’altro. Il tempo (anche e soprattutto mentale) che prima era condiviso con entrambi i genitori viene diviso in “tempo con mamma” e “tempo con papà” e spesso si assiste a trasformazioni comportamentali del minore con uno e con l’altro genitore: i bambini a volte si comportano come “mamma vuole” o come “papà vuole” o in modi che non diano fastidio ai genitori già così sofferenti, arrabbiati, impegnati. In questi casi il bambino non è libero di esprimersi e sperimentarsi ma si comprime all’interno di atteggiamenti “di facciata”.

I minori possono sentire la necessità di attribuire colpe e responsabilità il che li porta a prendere posizioni in merito ad accadimenti che in realtà non possono comprendere perché appartengono al mondo degli adulti. I bambini possono schierarsi per prendere le difese del “genitore debole”: si avvia così un processo in cui nella psiche si creano zone troppo distinte e differenziate in cui ci sono un buono ed un cattivo, due mondi che spesso arrivano ad assumere connotazioni di rigidità che rendono difficile essere flessibili anche in futuro.

Un risvolto drammatico delle dinamiche conflittuali porta poi il minore alla parentificazione, ad assumersi cioè il ruolo di “genitore del genitore” nel tentativo di aiutare gli adulti: è ciò che accade quando i bisogni dei genitori sovrastano quelli dei minori.

In questo breve excursus abbiano citato le conseguenze più significative che la separazione conflittuale può avere. Possiamo quindi pensare che, se “gestita” in modo conflittuale, la separazione genitoriale rappresenti un furto degli elementi costitutivi dell’infanzia  e che dovrebbero essere garantiti per una crescita serena e libera da traumi e strappi evolutivi. I bambini inseriti in situazioni di grave conflittualità vengono privati dai loro stessi genitori da elementi quali serenità quotidiana, ruolo adeguato all’età, responsabilità adatte alla fase di sviluppo, stabilità, fiducia nelle capacità dei genitori, fiducia in una risoluzione, senso di protezione e sicurezza, spensieratezza e questo è uno dei più gravi furti che un bambino possa subire.

Bibliografia:

Rosa-Tura, 2012, “La separazione genitoriale”, Maggioli Editore, Rn.

Cigoli, Gulotta, Santi, 2007, “Separazione, divorzio e affidamento dei figli”, Giuffrè Editore, Mi.